Claudia Lerro – Attrice, regista e formatrice
– Cos’è per te la drammaturgia?
Se penso alla drammaturgia quello che mi viene in mente come prima cosa è la parola legata all’azione, la parola in azione o l’azione nella parola. Se dovessi descriverla con una metaforora la immagino come “la vita”, qualcosa che non può prescindere dal conflitto, in questo senso, forse impropriamente, intendo drammaturgia anche la poesia e qualsiasi “genere” che porta con sè la vita tutta!
– Ci sono dei drammaturghi e/o degli autori, legati al teatro, che ti hanno particolarmente segnato? Sia dal punto di vista personale che professionale.
Un autore a cui sono particolarmente legata è Federico García Lorca, perché è stato uno dei primi drammaturghi che ho incontrato, e nella sua scrittura ritrovo molta poesia. Mi sono innamorata di lui, del suo modo di scrivere tempo fa, se penso a Yerma mi rendo conto che è un testo che conosco a memoria, l’ho subito sentito affine a me, ricco di elementi che mi hanno attraversata ma che non per forza ho compreso e proprio per questo, credo, lo reputo fondamentale nel mio percorso. Leggo e mi appassiono di autori e testi molto diversi tra loro, sono aperta ai suggerimenti perché non amo chiudermi nel giudizio binario di bello o brutto. Ci sono autori che mi hanno appassionato in periodi particolari della mia vita, penso a Fausto Paravidino nel periodo in cui studiavo a Roma, ad altri autori che mi piacciono e orientano il mio gusto ma dare dei nomi sopra ogni altro mi risulta complesso…o forse l’ho già fatto.
– Riguardo il tuo lavoro: in che modo nascono i testi per il teatro? Quali percorsi segui e come arrivi all’aspetto drammaturgico dello spettacolo?
Dipende, il percorso non è sempre lineare, almeno nella mia esperienza. Se penso al mio primissimo lavoro, ad esempio, mi rendo conto che la drammaturgia, in quel caso, nasceva da un’urgenza espressiva, quindi la scrittura ha avuto una genesi prima del lavoro in sala, è stata originata da un “altrove”. Si trattava di una storia personale, famigliare, una storia importante anche a livello politico, perché la mia famiglia è stata condannata al confino durante il Fascismo. Lo spettacolo, se ci penso, non ha neanche un nome originale, si chiama Riccardo e Lucia, i nomi dei miei nonni che ne sono appunto i protagonisti, l’ho scritto innanzitutto per me, per la mia famiglia, e solo quando l’ho presentato la prima volta al Teatro Argot di Roma, grazie alla reazione degli spettatori, ho capito che era un lavoro che andava oltre la mia famiglia, nonostante fosse nato da lì, da quella esigenza, perché aveva come materia prima la vita appunto.
Ultimamente invece ho lavorato al testo di Una Famiglia, a partire da un’altra urgenza, quella che riscontravo nei miei giovani allievi, la necessità di confrontarsi con un concetto di famiglia diverso da quello inteso tradizionalmente, ho espresso nella scrittura il desiderio di narrare qualcosa in cui anche loro potevano riconoscersi. In questo caso ho costruito dei personaggi di fantasia ma sempre ispirati ad aneddoti e persone con le quali ho avuto a che fare, rimaneggiandoli grazie alla drammaturgia in una forma nuova.
Direi quindi che la mia scrittura quasi mai è frutto di un esercizio di fantasia tout court, è sempre strettamente legata alla vita. Mi interessa esplorare le relazioni e i temi sociali che ne scaturiscono. Credo che la scrittura sia il mio modo di fare politica, di mettere in relazione la vita e l’arte.
– Anche la scelta dei testi che scegli per i laboratori teatrali sono legati a questa esigenza o seguono altre logiche?
Nel caso dei laboratori la scelta è diversa, deve seguire logiche differenti.
Ci sono spettacoli che nascono in sala in cui la drammaturgia nasce in fase di training. In quel caso io scelgo un tema, dei testi di riferimento e con i ragazzi si crea un lavoro, che a volte è più potente di un testo nato a tavolino. Molti pedagoghi, molti registi lavorano così, in questo mi sento di dire che la scelta drammaturgica, nel lavoro pedagogico, risponde ad altre necessità. Mi spiego meglio: quando mi occupo di formazione è importante per me saper mettere da parte le mie esigenze e stare in ascolto degli allievi, delle loro urgenze, delle loro capacità e guidarli, quello si, ma sempre mantenendo alto un approccio che accoglie l’altro. È centrale per me, in questo lavoro, lo sguardo d’amore verso l’allievo, è lui al centro del lavoro, è fondamentale la sua crescita e la crescita di tutto il gruppo; in funzione di questo avviene la scelta drammaturgica.
– Nella tua esperienza con i più giovani che strategie usi per avvicinare a loro un testo teatrale?
In genere se lavoro con una drammaturgia esistente tendo sempre a collegare il testo alla loro vita, nel momento in cui analizzo personaggi, azioni, storie cerco di riportarle alla loro età, alle loro esperienze, a volte li scelgo con loro direttamente soprattutto se hanno voglia di sperimentare. Mi aiuta molto il fatto di essere sempre a contatto con le nuove generazioni, mi raccontano anche cose molto diverse rispetto a com’eravamo noi alla loro età. Di mio provo a rimandare le relazioni che poi sono eterne, sono universali, che leggiamo nel testo alla loro vita, alla loro esperienza. Quindi cerco di accendere in loro l’interesse creando una connessione, un analogo con le loro vite, e funziona. Il lavoro si svolge moltissimo con l’improvvisazione, permette a loro di acquisire una consapevolezza del testo che prescinde dalla memoria, quella fatta perché si deve fare; per me infatti il copione è davvero l’ultimo passaggio. Credo moltissimo nella propensione al gioco, all’imitazione, alla simulazione della vita che hanno sia i bambini che i ragazzi e questa loro attitudine garantisce sempre un risultato soprendente. Con gli adulti ad esempio è completamente diverso l’approccio.
Poi ci sono i casi in cui decido di affidare la drammaturgia a loro, è una scrittura originale che attraversa un processo creativo di grande impatto emotivo di cui sono, nella maggior parte dei casi, entusiasti. Quando questo accade mi rendo conto di quanto siano inascoltati e spesso giudicati senza nessuno spazio di espressione per questo sono sempre molto felici di esprimersi, di far emergere la loro personalità, la loro emotività e in alcuni casi emerge più di quello che sono in grado di accogliere nello spazio di un laboratorio teatrale, in questo senso è importante sostenerli con spazi di ascolto anche psicologico che mancano quasi totalmente.
– Nella comunità teatrale di Corato sollecitata da diverse iniziative, in che modo pensi possa inserirsi il Centro di Drammaturgia che avrà sede nella Biblioteca Comunale?
È vero che a Corato esiste una realtà teatrale attiva da tempo, il Teatro Comunale ospita una programmazione importante e realtà del territorio come Teatri Di.Versi che lavorano molto con la formazione del giovane pubblico, ma è anche vero che in questi anni la discontinuità politica non ha giocato a favore della creazione di una vera e propria comunità, il Centro di Drammaturgia Tutto Il Teatro è un tassello che dovrebbe far parte di un cammino comune, questo mi auspico e sono felice che sia nato proprio qui.
Sogno che nella mia città, che ho lasciato anni fa e dove ho scelto di tornare, si possa creare un percorso ampio e comune che coinvolga diverse professionalità del teatro, unendole in un’unico progetto creativo e artistico. Penso ad esempio all’indirizzo di scenografia del Liceo Artistico di Corato con cui sarebbe importante creare una sinergia, costruendo una rete che cresce insieme nella direzione di un teatro di comunità. Immagino un vivaio di creativi, di professionisti che camminano in una direzione comune.
C’è ancora tanto lavoro da fare, nella formazione del pubblico, non basta portare i cittadini a teatro bisogna formarli, ancora troppe volte incontriamo, durante gli spettacoli, spettatori diseducati al teatro, questo ovviamente non riguarda solo la nostra città ma dobbiamo impegnarci per migliorare. Molte cose sono cambiate e molte ancora devono cambiare e io non posso che essere felice di avere un’altra forza, come la vostra, che arriva in città a seminare perché questo è un lavoro che parte dalla cooperazione, un principio che è fondamentale per me.
– Qual è un libro di teatro o sul teatro che secondo te non può mancare nel Centro di Drammaturgia?
Il primo che mi viene in mente è Il Punto In Movimento di Peter Brook. Non è drammaturgia, ma è sul teatro. Peter Brook è uno dei miei autori preferiti in assoluto.